8 dicembre 2012
Traditi, vessati e beffati. Gli esodati passano al contrattacco, e naufragata in Parlamento l'ultima possibilità di mettere al riparo i 260 mila lavoratori che ancora sono rimasti fuori dalle salvaguardie messe in campo dal governo, vogliono portare in Tribunale Elsa Fornero e hanno dato mandato allo studio legale Alleva di Bologna di denunciare il Ministero del Lavoro e chiedere il risarcimento per danni morali e mobbing sociale.

Numericamente, i contributori volontari rappresentano circa la metà della platea ancora in attesa della salvaguardia. Un numero che ad oggi, in attesa di nuovi interventi a cui sta ancora lavorando in extremis il governo, si attesta intorno ai 130.000 lavoratori, al netto dei 20 mila coperti dalla Legge 214/2011 ("Salva-Italia) e dalla L. 135/2012 ("Spending Review"). Una quota minima su un totale di circa 130.000 persone a cui è stato garantito di andare in pensione con le regole pre riforma.
"Da dodici mesi viviamo in un clima di incertezza e con l'impossibilità di programmare il nostro futuro. Non sappiamo di che morte morire, e questo non può che crearci ansia , depressione. Vorrei vcedere un ministro vivere una situazione del genere".
Da qui l'iniziativa di dare mandato allo studio bolognese, lo stesso che ha difeso - ottenendone il reintegro - i lavoratori Fiom licenziati a Pomigliano, di raccogliere le adesioni di ricorrenti per avviare una causa civile e chiedere il risarcimento per i danni causati dall'incertezza causata dai provvedimenti del governo.
A mettere in crisi i contributori volontari, più che la riforma Fornero - che autorizzava quanti di loro avessero ottenuto l'autorizzazione prima del dicembre 2011 ad andare in pensione con le vecchie regole, è il decreto ministeriale del 1 giugno 2012 che fissa nuovi paletti, molto più rigidi, e che sbarra la strada a molti contributori.
Con loro c'è anche il comitato dei "Quindicenni", altra categoria travolta suo malgrado dalla riforma Fornero e ora sul piede di guerra - circa 65mila secondo stime non ufficiali dell'Inps -, che riunisce quanti hanno lasciato il lavoro prima del 1992, grazie a una serie di deroghe previste dalla legge Amato 503, e che consentiva a chi avesse versato 15 anni di contributi prima del 1992 (o avesse ricevuto entro la stessa data l'autorizzazione a versare i contributi volontari), di incassare a 60 anni - per le donne - e 65 - per gli uomini - una pensione di vecchia proporzionale a quanto versato.
Ora, la circolare dell'Inps n°35, pubblicata a marzo, ha imposto regole più restrittive per queste deroghe, imponendo il versamento di almeno 20 anni di contributi, costringendo chi ormai da molti anni è fuori del mercato del lavoro a rientrare o a versare le quote mancanti. "Sono cifre impossibili da sostenere", spiega Evelina Rossetto, del comitato "I Quindicenni". "Si tratta per la maggior parte donne, che hanno lasciato il lavoro dedicandosi a lavori casalinghi e facendo le veci - nei fatti - dello Stato, realizzando una sorta di Welfare suppletivo".
Per loro, una sorta di strada senza uscita. "Non hanno da parte 30-40 mila euro da versare per ottenere ciò che una norma aveva già previsto spettasse loro. E non è nemmeno possibile riavere indietro quanto versato. Diventano contributi silenti, persi per sempre".
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