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domenica 22 aprile 2012

Esodati di Belluno

Sos esodati: «Dieci anni senza un euro»
Le testimonianze di due bellunesi. Sono andati in mobilità volontaria, ma ora il governo Monti li “castiga”
di Paola Dall’Anese - 22 aprile 2012
BELLUNO. Li chiamano “esodati” perché sono usciti dal posto di lavoro volontariamente, pensando di dover attendere un paio d'anni per arrivare alla pensione, ma ora vedono allontanarsi il traguardo. Rischiano di rimanere senza uno stipendio e senza i contributi per anni. Non si sa quanti siano in provincia, chi dice qualche decina, chi spara cifre più alte. Ma loro, gli esodati, si sentono presi in giro dal governo, il soggetto con cui soltanto qualche mese fa avevano fatto un patto che assicurava loro, in cambio del licenziamento, di giungere sereni alla pensione. Un “patto col diavolo”, visto che davanti a loro si è aperto un baratro.
Il caso alle Poste. Vanni Sommariva, ex lavoratore delle Poste Italiane spa si è licenziato all’inizio del 2012, pensando di stare in mobilità un anno e mezzo, il tempo necessario per raggiungere i 40 anni più uno previsti dalla riforma Maroni. Ma forse, non sarà così. «Dopo una vita alle Poste, facendo i turni di notte, all'inizio di quest'anno ho firmato per la mobilità. L'Inps mi assicurava l'indennità e il versamento figurativo dei contributi fino al 2014. Ma ora la riforma Monti ha spostato l'età pensionabile. E ancora non so se faranno fede gli anni di contributi (in questo caso per raggiungere i 42 anni dovrò stare un anno senza percepire un'indennità) o l'età pensionabile (cioè i 67 anni e in questo caso mi aspettano dieci anni di vita senza un reddito)».
La preoccupazione di Sommariva è tanta. «Non riesco ancora a credere a quello che sta accadendo: praticamente sto aspettando che qualcuno a Roma decida del mio destino. Ho un'ansia terribile», precisa l’ex dipendente delle Poste, che precisa la sua sitazione: «Io posso anche vivere con una tazzina di riso, ma ho una famiglia da mandare avanti e una figlia disoccupata che devo aiutare. Chi deciderà, dovrà tenere in considerazione questi aspetti. Se non aiutiamo noi pensionati i giovani, visto che non possono lavorare, cosa ne sarà di loro?».
Il concessionario. Se Sommariva cerca di andare avanti, Giovanni (usiamo il nome di fantasia per volontà dell'interessato) è scoraggiato. Lui, dopo 38 anni e mezzo, lavorati in una concessionaria, è andato in mobilità volontaria, pensando di poter andare in pensione dopo tre anni; ora teme di vedersi spostare il traguardo di altri quattro anni.
«Sono andato in mobilità a 59 anni con 38 anni e mezzo di contributi. L'accordo, in base alla vecchia norma, prevedeva che sarei stato in mobilità col pagamento delle indennità per tre anni (fino al 2014), cioè fino al compimento dei 62 anni di età e i 40 di lavoro. Ma ora il mondo mi è caduto addosso». Per lui infatti la scadenza del 2014 è stata differita almeno fino al 2018. Quindi si troverebbe per quattro anni senza un lavoro e senza uno stipendio, in attesa di raggiungere l'età pensionabile dei 66 anni.
«Se la norma andrà in porto, mi troverò senza un lavoro, ma anche senza una copertura finanziaria. Ho una famiglia e non posso permettermi di rimanere senza un'entrata monetaria per tutti questi anni. Ho chiesto in giro, ma nessuno assume in questo momento una persona della mia età. Ho cercato anche nel settore dell'auto, dove ho lavorato fino all'anno scorso, ma il comparto è in crisi. La spada di Damocle che incombe su di me inizia allo scadere della mobilità. Allora non so cosa farò», dice Giovanni, con l'angoscia in gola.
La situazione non è facile: «Vivere nell'incertezza del futuro alla mia età è insostenibile», conclude Giovanni.
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