LE PENSIONI INCIAMPANO NEL NODO DEGLI ESODATI, IL LAVORO NELLA MANCANZA DI FONDI PER IL REDDITO MINIMO GARANTITO DALLA FUSIONE DI INPS, INPDAP E ENPALS ARRIVERANNO INVECE MILIARDI DI RISPARMI. NASCE PERÒ UN CENTRO DI POTERE ENORME. SU CUI LA POLITICA HA GIÀ MESSO GLI OCCHI
Roberto Mania
Roma Carlo Donat Cattin non aveva dubbi: se avesse dovuto scegliere egli sarebbe stato il «ministro dei lavoratori» e non quello delle imprese. Elsa Fornero, ministro del Lavoro del gabinetto tecnico guidato da Mario Monti, non potrebbe nemmeno trovarsi di fronte a quel dilemma: quasi mezzo secolo dopo, i lavoratori non sono una identità netta, una classe distinta dal resto, portatrice di interessi omogenei e di una cultura comune. I lavoratori si sono (o sono stati) frastagliati in mille diverse tipologie e “classificazioni”. Nel mondo del lavoro si consumano conflitti sotterranei, alcuni globalizzati, altri fortemente interni: conflitti generazionali, conflitti di genere, conflitti territoriali. Lo scontro classico padrone-lavoratore può ancora oggi esplodere clamorosamente, inaspettatamente e pure violentemente (la strage alla Thyssen, per esempio; ma anche, su un terreno assai diverso, quello alla Fiat-Chrysler di Sergio Marchionne), oppure ripiegare in forme informali di partecipazione, di condivisione, di cooperazione. E le imprese? Le multinazionali, senza radici nei territori, non hanno spesso il volto dell’imprenditore, sostituito dal, o dai, brand; le medie aziende, quelle innovative e internazionalizzate del nostro “quarto capitalismo” non fanno sistema; e le piccole sono ai margini del processo mondiale di redistribuzione della produzione e del lavoro. Insomma, è davvero molto più complesso il compito che spetta oggi all’economista piemontese prestata al governo. Di certo,
però, c’è un - interessante - punto in comune tra il politico democristiano Donat Cattin e la tecnica Fornero: il ministero del Lavoro fu allora ed è oggi vero crocevia per la definizione del patto sociale. A cavallo degli anni Sessanta e Settanta, un patto costruito sulle conquiste della classe operaia (lo Statuto, la formazione, la pensione come risarcimento della fatica del lavoro, il diritto alla casa, ecc), nel secondo decennio del nuovo secolo, senza più i riferimenti ideologici novecenteschi, un patto dai tratti difensivi, ancorato alla flessibilità dei lavori, al protagonismo degli individui più che dei gruppi di interesse, e alleggerito dal ritiro dello Stato incurvato, a sua volta, dalla massa del debito pubblico, mentre le diseguaglianze e le fratture sociali si accentuano un passo dopo l’altro. Questa è la missione (quasi impossibile) affidata al ministero del Lavoro. Che, non a caso, però, ha riconquistato la responsabilità principale delle riforme. Perché negli anni Novanta gli interventi sulle pensioni sono stati decisi e realizzati al ministero del Tesoro o direttamente a Palazzo Chigi (Lamberto Dini, Romano Prodi, Giulio Tremonti). La Fornero si è intestata la riforma della previdenza come quella del lavoro. Anche per dire, ben sapendo quanto fosse «impopolare», che avrebbe intanto risolto il problema dei 65 mila esodati grazie ai 5 miliardi stanziati nel decreto “Salva Italia”, e poi quello (in realtà lasciandolo in eredità al prossimo esecutivo) dei molti di più (oltre 200 mila) esodandi. Finendo per ammettere l’errore politico di aver sottovalutato tutti gli effetti sociali della sua riforma pensionistica. Ed è la riforma pensionistica l’asse sul quale (sotto la spinta dell’emergenza finanziaria) si è provato a disegnare il patto del futuro. È finora l’unica strutturale riforma varata dal governo. La riforma che, ormai mesi fa, ha permesso - ma solo per un po’ - che scendesse lo spread con i Bund tedeschi e che l’Italia riguadagnasse affidabilità sui mercati internazionali. E anche l’unica misura che ha recuperate risorse significative dal lato della spesa e non da quello delle entrate: 3,4 miliardi di risparmi nel 2012, 6,6 nel 2013, 9,2 nel 2014. Riforma che avrebbe dovuto coniugarsi con quella del mercato del lavoro, ma che così non è sostanzialmente stato. La riforma - ancora all’esame del Parlamento - è nata monca, priva dei raccordi indispensabili con la nuova previdenza fondata sul metodo contributivo: un sistema di ammortizzatori sociali davvero universale (secondo le stime della Cgil solo il 10 per cento dei precari riceverà la futura Aspi, l’assicurazione sociale per l’impiego) con annesso anche quel reddito minimo garantito, sul quale la Fornero, per quanto a titolo personale, si è sempre detta favorevole. Ma senza soldi non si può. Disse la Fornero davanti alla Commissione Lavoro della Camera all’inizio di dicembre del 2011 illustrando la sua legge sulle pensioni: «Questa riforma punta tutto, e in caso contrario fallirà, su un aspetto che la riforma stessa non contempla e cioè su un mercato del lavoro che funziona a dovere e dà lavoro al maggior numero possibile di persone, giovani, donne e anziani. Si tratta di un capovolgimento di ottica». E ancora: «La riforma del lavoro è il pezzo mancante, il pezzo che sorregge tutto questo impianto ». Quel pezzo difficilmente sarà in grado di reggere l’edificio. Ci vorrà quasi certamente un’altra riforma, interventi correttivi, toppe. Sperando che non esploda il sommerso, tornato a crescere anche per colpa della recessione. Il nuovo mercato del lavoro, dunque, nascerà piuttosto rachitico. D’altra parte lo stesso Fondo Monetario Internazionale, al termine della sua ultima missione in Italia, considera non sanato il dualismo nel nostro mercato del lavoro. E l’accordo sottoscritto tra il ministro della Funzione Pubblica, Filippo Patroni Griffi, e i sindacati crea un altro dualismo (pubblico- privato) sul fronte dei licenziamenti.

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Di queste 3000 parole, ho capito solo una cosa:chi sta' pagando questa crisi italiana sono solo , i lavoratori,i pensionati o noi esodati.Per loro invece, ci sara' una mega torta previdenziale da spartire.Per far funzionare meglio il sistema e ridurre sprechi e inefficenza? Per me e' dividersi il tutto con piu' ricavi e ovviamente soddisfazione, alla faccia di chi tribola per arrivare alla fine del mese. Paola
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