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lunedì 14 luglio 2014

Esodati: le storie, le ragioni, i perché

mercoledì 18 giugno 2014
Esodati: le storie, le ragioni, i perché.
Esodati. Storie di un'economia distratta: l'intervista ad Antonio Rinaldis.
La storia e le storie degli “esodati” non sono semplici da raccontare. Quali sono state le difficoltà maggiori che hai incontrato nel raccogliere le testimonianze alla fonte del tuo libro?
La più grande difficoltà è stata quella di convincere i miei interlocutori della mia buona fede e dell’onestà dei miei propositi. In un primo momento il mio interesse poteva essere scambiato per una forma di primo giornalistica, la possibile di strumentalizzare tragedie per la mia ambizione personale. D’altra parte non erano preoccupazioni infondate, perchè la logica perversa della comunicazione contemporanea impone molto pathos e poco logos, molte emozioni e pochi ragionamenti. Il libro invece non vuole ubriacare con una raffica di messaggi violenti, bensì cerca di costruire delle trame e dei racconti che permettano di individuare delle storie più complesse, più profonde, semplicemente più umane e meno televisive.
Tra tutte le storie che hai conosciuto e che hai raccolto, quale ti ha colpito di più, e perchè?
Le persone che mi hanno impressionato in misura maggiore sono state alcune figure femminili. Una in particolare che si chiama Mirella, perchè era così fragile e indifesa, così vulnerabile che era impossibile non provare solidarietà con la sua storia. Una persona garbata e gentile che mi è sembrata la vittima perfetta di un sistema che premia i furbi e gli arroganti.
La comparsa degli “esodati” ha origini che sono rimaste indefinite e non del tutto chiare, anche a distanza di tre anni, ormai. Un po’ frutto dell’emergenza, un po’ frutto dell'incompetenza, un po’ frutto del cinico calcolo, forse. Studiando il caso “esodati” da vicino, che impressione ne hai ricavato?
Mi sono avvicinato al fenomeno “esodati” perché mi è sembrato un caso esemplare di come vanno le cose nel nostro sistema di vita e di governo. Coloro i quali hanno prodotto le riforme pensionistiche Sacconi e Fornero sapevano  perfettamente quello che stavano facendo e non erano affatto degli sprovveduti. Hanno considerato gli “esodati” come un costo umano inevitabile all'interno di una guerra giusta. Come accade per bombe intelligenti che creano vittime innocenti, considerate accessorie, rispetto alla giustezza della guerra che si sta combattendo. Ma se i mezzi sono ingiusti, anche i fini diventano ingiusti, non bisogno mai dimenticarlo.
Nel corso degli ultimi mesi sono diversi i libri dedicati agli “esodati”, ognuno con un taglio particolare, sociologico, economico, psicologico. Il tuo libro offre un ulteriore spaccato: perché hai scelto la forma delle testimonianze?
Perché non sono un economista, né un sociologo, ma uno scrittore e un filosofo che si è avvicinato al problema con l'intento esclusivo di riuscire a difendere il senso umano della politica e dell’economia, denunciando il pericolo che invece la prevalenza della tecnoeconomia possa abbattere la dignità e il valore della vita umana. Le testimonianze sono il racconto in prima persona di persone vere e reali che hanno rivendicato con calore e partecipazione il loro diritto alla felicità, di fronte alla cinica e sprezzante logica dell'utile e dell'efficienza. Lo so che può sembrare strano, ma ho voluto contrapporre le ragioni del cuore a quella della ragione strumentale.
Leggendo il tuo libro si ha l'impressione che ormai sia abbastanza
 chiaro a tutti che il caso degli “esodati” è solo l'ultimo, in ordine di tempo, degli attacchi ai diritti dei lavoratori e delle
 lavoratrici, peraltro il più subdolo e il più maldestro nello stesso tempo. Secondo te, è così? Cosa dobbiamo aspettarci, ancora?
E’ vero: gli "esodati" sono soltanto un caso dell’evoluzione in senso tecnocratico e tecnoeconomico del capitalismo del ventunesimo secolo. Tutte le conquiste democratiche degli ultimi due secoli sono in pericolo di fronte alla logica spietata del mercato che significa essenzialmente riduzione dei diritti civili naturali degli individuali e sfruttamento intensivo del lavoro, a tutti i livelli. Se non si inverte questa tendenza gli individui entreranno in una sorta di nevrosi collettiva, nella quale la precarizzazione della vita, comporterà un aumento della competizione e dell’aggressività, e ciascuno avrà la spiacevole sensazione di essere regredito a una condizione selvaggia, in cui la lotta per la sopravvivenza polarizza tutte le energie, e la comunità umana si è dissolta in una rete infinita di microconflitti. E’ un futuro apocalittico ma possibile, se non viene recuperato il senso greco della polis e della comunità come luogo privilegiato della promozione e della realizzazione delle persone, in vista di una diffusione democratica della felicità.

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