Per salvare gli esodati la banca licenzia gli apprendisti
marina cassi
torino 04/10/2012
È successo tutto lunedì quando silenziosamente sono arrivate le prime lettere di licenziamento agli apprendisti di Intesa-Sanpaolo che hanno finito a ottobre i quattro anni di contratto. Per ora sono state due sole a Torino e 15-16 in Italia, ma tanto è bastato per scatenare nelle filiali un dramma collettivo con i ragazzi il cui contratto scadrà nelle prossime settimane disperati e i colleghi ben decisi a non lasciarli andare.
Lo «scambio»
Si racconta che negli uffici ci siano autentiche crisi di panico con trentenni che fano i conti su come riuscire a far quadrare bilanci che perderanno all’improvviso uno stipendio. Molti - ironia della sorte - avevano appena acceso con Intesa-Sanpaolo il «mutuo amico» per l’acquisto della casa a condizioni agevolate e riservato a chi ha una assoluta stabilità economica. Poi tra i ragazzi arrivati a fine corsa o quasi c’è chi è monoreddito o ha figli e anche chi proveniva dalle quote riservate al lavoro dei disabili. Nessuno di loro poteva immaginare che il super sicuro posto nella grande banca sfumasse per incanto. Si potrebbe dire che - pur con numeri che in tutta Italia non dovrebbero superare le 5-600 persone di cui alcune decine in Piemonte - quello in scena nella banca sia il paradigma di un conflitto generazionale. Presto spiegabile: mandare a casa i «vecchi» a Intesa-Sanpaolo dopo la riforma delle pensioni costerà in alcuni anni parecchi milioni in più del previsto abbattendo non poco la prevista riduzione dei costi.
I sindacati
L’accordo con il sindacato del luglio del 2011 prevedeva delle uscite verso il Fondo esodati per portare gli addetti da 101 a 98 mila. Ma la riforma Fornero sulle pensioni impone ora che quei lavoratori o rimangano in azienda fino alla maturazione dei nuovi requisiti - in quel caso ovviamente continuando a percepire lo stipendio - o restino nel Fondo di settore fino a 62 anni costando alla banca molti milioni in più. L’ipotesi estrema che potessero ingrossare le fila degli esodati senza reddito e senza pensione non è mai stata neppure ipotizzata dal sindacato e dall’azienda. I sindacati unitariamente respingono i licenziamenti e giurano che nella trattativa già prevista per il 9, 10 e 11 ottobre si troverà una soluzione per non sacrificare i trentenni che poi rappresentano anche il futuro della banca. E le stesse cose diranno oggi nell’incontro con l’ad Cucchiani.
La protesta
C’è chi parla nei volantini affissi nelle bacheche - come la Fabi - di «atto di guerra» da parte di Intesa-Sanpaolo, chi come la Fisac Cgil assicura che si arriverà a ogni tipo di azione per salvare i giovani in nome del patto di unità tra generazioni. E chi come la Uilca pensa che la scelta aziendale nuocerà gravemente alle relazioni sindacali. La Sallca-Cub invita «respingere il ricatto». In Regione il consigliere Lepri del Pd ha presentato una interrogazione urgente.
(Leggi)
Lo «scambio»
Si racconta che negli uffici ci siano autentiche crisi di panico con trentenni che fano i conti su come riuscire a far quadrare bilanci che perderanno all’improvviso uno stipendio. Molti - ironia della sorte - avevano appena acceso con Intesa-Sanpaolo il «mutuo amico» per l’acquisto della casa a condizioni agevolate e riservato a chi ha una assoluta stabilità economica. Poi tra i ragazzi arrivati a fine corsa o quasi c’è chi è monoreddito o ha figli e anche chi proveniva dalle quote riservate al lavoro dei disabili. Nessuno di loro poteva immaginare che il super sicuro posto nella grande banca sfumasse per incanto. Si potrebbe dire che - pur con numeri che in tutta Italia non dovrebbero superare le 5-600 persone di cui alcune decine in Piemonte - quello in scena nella banca sia il paradigma di un conflitto generazionale. Presto spiegabile: mandare a casa i «vecchi» a Intesa-Sanpaolo dopo la riforma delle pensioni costerà in alcuni anni parecchi milioni in più del previsto abbattendo non poco la prevista riduzione dei costi.
I sindacati
L’accordo con il sindacato del luglio del 2011 prevedeva delle uscite verso il Fondo esodati per portare gli addetti da 101 a 98 mila. Ma la riforma Fornero sulle pensioni impone ora che quei lavoratori o rimangano in azienda fino alla maturazione dei nuovi requisiti - in quel caso ovviamente continuando a percepire lo stipendio - o restino nel Fondo di settore fino a 62 anni costando alla banca molti milioni in più. L’ipotesi estrema che potessero ingrossare le fila degli esodati senza reddito e senza pensione non è mai stata neppure ipotizzata dal sindacato e dall’azienda. I sindacati unitariamente respingono i licenziamenti e giurano che nella trattativa già prevista per il 9, 10 e 11 ottobre si troverà una soluzione per non sacrificare i trentenni che poi rappresentano anche il futuro della banca. E le stesse cose diranno oggi nell’incontro con l’ad Cucchiani.
La protesta
C’è chi parla nei volantini affissi nelle bacheche - come la Fabi - di «atto di guerra» da parte di Intesa-Sanpaolo, chi come la Fisac Cgil assicura che si arriverà a ogni tipo di azione per salvare i giovani in nome del patto di unità tra generazioni. E chi come la Uilca pensa che la scelta aziendale nuocerà gravemente alle relazioni sindacali. La Sallca-Cub invita «respingere il ricatto». In Regione il consigliere Lepri del Pd ha presentato una interrogazione urgente.
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Possiamo ringraziare il Ministro, anche questo e' un atto dovuto alla sua fretta di fare , altro che come mi e' stato detto: lascera' un posto ad una persona piu' giovane.Cosi' siamo in 2 a rimetterci. Paola
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