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giovedì 19 gennaio 2012

L'Unità 19-01-2012
Priorità alle tutele:
assurdo pensare a come licenziare
Di Cesrae Damiano
Il Paese si troverà di fronte ad un vero e proprio shock occupazionale a partire dal prossimo anno. Questa previsione la stiamo formulando dal tempo del governo Berlusconi, inascoltati, e adesso la tocchiamo con mano. Anche il 2011 si chiuderà con la richiesta, da parte delle aziende, di un miliardo di ore di cassa integrazione. Purtroppo, la tanto agognata inversione di tendenza non ci sarà. Al contrario, stiamo entrando in recessione.

Ai dati di oltre 2 milioni di disoccupati, di 2 milioni e 700mila «scoraggiati»( per lo più persone molto giovani o over 50 ), di lavoratori al nero che hanno tagliato il traguardo dei 3 milioni di persone si aggiungeranno, secondo Confindustria, altri 800mila disoccupati nel 2012. Purtroppo, la recente manovra del governo sulle pensioni ha aggravato la situazione e le risorse destinate alla crescita appaiono insufficienti. Non è un caso se, come Pd, abbiamo fatto condividere da Pdl e Terzo Polo un ordine del giorno, che il governo ha accolto, che riguarda chi ha perso l’occupazione. Si tratta di lavoratori non tutelati dalla manovra perché non hanno sottoscritto accordi di mobilità entro il 4 dicembre scorso.

Sono i cosiddetti «esodati» delle Poste, i «sovranumerari» colpiti dai processi di fusione degli enti, o coloro che, in previsione di una pensione a portata di mano nel 2012 o nel 2013, si sono licenziati. Adesso, con l’abolizione delle cosiddette quote «96 e 97», si vedono allontanare il traguardo pensionistico anche di 3 o 4 anni. Come vivranno nel frattempo senza stipendio, indennità di mobilità e senza pensione? A questa situazione di grave ingiustizia sociale va posto rimedio.

La soluzione? È semplice: occorre mantenere a questi lavoratori le vecchie regole pensionistiche. Da qui il governo deve ripartire, con la necessaria concertazione, se si vuole aprire un discorso di ammortizzatori sociali nel tempo della recessione. Noi siamo favorevoli all’obiettivo di dotare il Paese di tutele sociali inclusive, soprattutto per le giovani generazioni che conoscono prevalentemente il lavoro precario. Il governo è andato nella giusta direzione scontando l’Irap alle imprese che assumono giovani e donne a tempo indeterminato. È questa la strada sulla quale abbiamo sempre insistito: far costare di meno il lavoro stabile per battere la precarietà. Il problema, a nostro avviso, non è cancellare o indebolire l’articolo 18. Infatti non si spiega come mai nelle aziende al di sotto dei 16 dipendenti, nelle quali il 18 non si applica, si continua ad assumere prevalentemente con contratti flessibili. La risposta è semplice: perché costano di meno.

Qualche suggerimento lo possiamo fornire: esiste una delega, figlia del Protocollo del 2007 e già condivisa dalle parti sociali, che è rimasta nel cassetto del precedente governo. In essa si ipotizza l’unificazione della cassa integrazione ordinaria e straordinaria e, dall’altra, della mobilitò e della disoccupazione. Infine, alla Camera è depositata da tempo una proposta di legge: il Contratto Unico di Inserimento Formativo, prima firmataria l’onorevole Madia. Prevede un iniziale periodo di prova e il mantenimento dell’articolo 18 per padri e figli.v                                      

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